Vera Ciceri Invernizzi
Vera nasce a Rancio il 23 Agosto 1904. A soli undici anni entra in fabbrica come operaia metallurgica. Nel 1919 sposa Gaetano “Nino” Invernizzi, che avrebbe ricoperto incarichi di alta responsabilità nel movimento antifascista.
Entrambi partecipano all’occupazione delle fabbriche del 1920.
Perseguitati dal fascismo riparano in Francia, per rientrare ripetutamente negli anni Trenta in Italia ed organizzare la Resistenza. I coniugi sono arrestati a Milano nel 1936 e Vera viene condannata dal Tribunale speciale fascista a otto anni di carcere da scontare a Perugia. Liberata da un’amnistia nel 1941 riprende immediatamente il lavoro politico e nel settembre del 1943 con Gaetano si pone alla guida del movimento antifascista del territorio lecchese. É tra i primi partigiani a raggiungere i Piani d’Erna, alle falde del Resegone, dove ha inizio la lotta di Liberazione
sulle montagne di Lecco. Continua poi la sua attività di partigiana a Milano dove fino al termine della guerra di Liberazione dirige i gruppi in difesa della donna.
Dopo la morte di Gaetano (1959) torna a Lecco e, tra l’altro, assume la presidenza dell’ANPI. Nel 1977 l’Amministrazione Comunale di Lecco le conferisce la medaglia d’oro per i suoi meriti patriottici e civili. Vera muore a Lecco il 19 Gennaio 1988 e viene sepolta nel cimitero di Acquate accanto al suo Nino.
Vedi anche: Vera Ciceri. Donna coraggiosa.
Piero Losi
Piero, genovese di nascita, è una delle figure di rilievo della guerra partigiana in Valsassina. Componente autorevole della 55a brigata Rosselli, dove copriva la carica di Commissario del 2° battaglione, a lui si deve la ricostruzione della formazione dopo i tremendi rastrellamenti del ‘44. Dopo mesi di lotta che aveva determinato il controllo di gran parte della Valsassina da parte delle formazioni partigiane, nel mese di ottobre del 1944 inizia un’offensiva generale da parte di un numero preponderante di tedeschi, appoggiati dai fascisti delle Brigate Nere e delle Guardie Nazionali Repubblicane.
Le formazioni partigiane, dopo settimane di strenua resistenza e incredibile sofferenze in un inverno rigidissimo, si disgregano: alcuni gruppi riescono a raggiungere la Svizzera, alcuni combattenti vengono catturati e giustiziati,
altri abbandonano alla spicciolata la montagna. Quella che era stata la salda ossatura non solo della “Rosselli”, ma di tutta la 2a Divisione, era caduta in frantumi.
Queste cifre, esposte in pubblico manifesto, sono per sé sole, eloquenti: 130 Morti (compresi i civili), 700 abitazioni distrutte (alberghi, rifugi, case, baite). 450 deportati (compresi i civili).
Dai resoconti dell’epoca si legge che Piero Losi assunse il comando degli uomini che operavano in Val d’Inferno. Nella prima settimana di dicembre, quando la neve raggiungeva i tre metri di altezza, anche loro tentarono il passaggio in Svizzera. Piero, che soffriva
di congelamento ai piedi, si trascinava a stento sulla neve aiutato dalla moglie Laura e dai compagni. Il passaggio si prospettava assai difficile, perchè non erano state ritirate tutte le truppe che avevano operato il grosso rastrellamento che aveva fatto sconfinare la 1a e 2a Divisione. Infatti, in Val Bitto, durante alcune ore di sosta, vennero attaccati. La mossa di accerchiamento non riuscì per un vero miracolo. Solo due uomini vennero catturati perchè rimasti fedelmente a guardia e a soccorso del Commissario Piero, che sfinito, non poteva più proseguire. Piero, nascosto nella neve, non fu catturato. Dei rimanenti uomini, alcuni tornarono in Val d’Inferno, altri si sbandarono. Come accennato all’inizio, Piero Losi partecipò nella primavera successiva alla riorganizzazione del movimento partigiano. Al termine della guerra, Piero si stabilì a Lecco, dove riprese il suo lavoro e il suo impegno civico. Fu per molti anni consigliere comunale della città nelle file del Partito Comunista Italiano e ricoprì la carica di Presidente dell’ANPI.